“Zvanì – Il romanzo famigliare di Giovanni Pascoli”, un film narrato in flashback, partendo dalla morte

Articolo di Gordiano Lupi

Forse soltanto Giuseppe Piccioni avrebbe potuto realizzare un film degno della poesia di Giovanni Pascoli, anche perché ha scelto uno sceneggiatore colto ed esperto come Sandro Petraglia che lavora su un buon soggetto di Roberta Breda. Il film è raccontato così bene in un mix calibrato di immagini e parole da far trapelare tutta l’anima della lirica pascoliana; lo spettatore preparato – meglio se innamorato del poeta – può fare un tuffo nel passato assaporando pagine di una letteratura immortale. Il ritratto di Pascoli è quello di un uomo convinto della grandezza della sua poesia (“Sarò letto anche quando Carducci non lo leggerà più nessuno”) ma che al tempo stesso comprende di aver sbagliando tutto, perché mentre i giorni fuggivano lui guardava vivere gli altri. Piccioni non è regista da “un film all’anno cavalcando le mode”. I suoi lavori escono a cadenza almeno triennale, sono sempre opere molto ispirate, come L’ombra del giorno (2022) – ultimo lavoro in carriera – ambientato nella sua Ascoli al tempo del fascismo. Il grande Blek e Il rosso e il blu restano i film che preferisco, da un punto di vista estetico e formale, oltre a essere utili per capire l’evoluzione di un’intera generazione. Zvanì non è da meno, come lavoro biografico realizzato con cura e rispetto certosino della vita e dell’opera di uno dei nostri maggiori intellettuali di fine Ottocento. Il film è narrato in flashback, partendo dalla morte di Giovanni Pascoli (a soli 56 anni) e dal trasporto della salma in treno da Bologna a Barga. Bastano poche didascalie per far capire le cose che mancano alle immagini, quindi si parte con un riuscito montaggio alternato che racconta l’infanzia del poeta, la morte del padre, la giovinezza universitaria, la svolta anarco-socialista sulle orme di Andrea Costa, la galera e le simpatie rivoluzionarie. Subito dopo conosciamo il Pascoli del nido e degli affetti, affrontiamo il rapporto complesso con le sorelle Ida e Maria, vediamo Livorno e Barga, l’esperienza al liceo di Matera (manca Messina) e l’insegnamento universitario a Bologna, dopo la morte di Giosuè Carducci. La vita di Giovanni Pascoli e del suo piccolo mondo famigliare è narrata con tono languido e mesto, immortalata da una fotografia anticata dai toni giallo ocra e da una scenografia a base di precise ricostruzioni d’epoca. I costumi e il trucco sono perfetti, tutto è dipinto con estrema cura, secondo le regole della correttezza storica; il montaggio è compassato ma Esmeralda Calabria delimita il film nella giusta lunghezza (110’), senza mai tediare lo spettatore. Davvero buona la scelta delle citazioni poetiche, tutte abbastanza insolite e originali, a parte La cavalla storna, lirica imprescindibile per spiegare l’omicidio del padre. Peccato per la mancanza de L’ora di Barga che non avrebbe sfigurato nella parte ambientata nel paese dell’alta lucchesia, ma il film ci dona una raffigurazione per immagini del grande letterato senza tradire la verità storica, soprattutto senza pettegolezzi e invenzioni narrative.

Pascoli non è mai stato un uomo d’azione, se non nella giovinezza universitaria, quindi è un personaggio poco cinematografico anche per la mancanza di grandi amori passionali e per una vita ritirata nel suo “cantuccio d’ombra romita”. Il regista riesce a farne lo stesso un personaggio vero e suggestivo, senza tanti fronzoli immaginari, facendo trapelare la sua antipatia per D’Annunzio (che stimava Pascoli) e in parte anche per Carducci, uomini troppo diversi da lui. Piccioni rende evidente l’insofferenza del poeta per le persone estroverse e ingombranti, oltre che per i salotti mondani, per i circoli culturali romani e fiorentini. Pascoli è interessato soltanto alla sua vita ritirata, alle sorelle, agli affetti, a una poesia intima, riflessiva, soffusa di ricordi. Per quel che concerne la tecnica di regia – compiuta e magistrale – sono da evidenziare alcuni primi piani dei volti, come se i personaggi fossero quadri o ritratti, spesso intenti a parlare verso la macchina da presa (ergo al pubblico) come in un film di Bergman. Sempre al maestro svedese sono rivolte le citazioni che Piccioni inserisce quando mostra i morti nelle vesti di fantasmi accanto alla persona che sta pensando al passato. Si pensi a Maria che guarda dal finestrino del treno e mentre lascia Bologna vede scorrere tutti i volti importanti della sua vita, dai genitori alle suore del convento dove è stata allevata. Si ricordi la madre di Giovanni che sussurra all’orecchio del poeta il nomignolo affettuoso Zvanì (Giovannino) come nella famosa poesia La voce. Straordinaria la poesia Mai più… mai più, dedicata a Mariù, ritrovata (anche nella realtà) dalla sorella Maria e letta in uno stupendo finale: La pendola batte / nel cuor della casa / ho l’anima invasa / dal tempo che fu… Meritano un apprezzamento particolare sia la fotografia campestre sia la scenografia marina del litorale livornese. Molto bravi gli attori. Federico Cesari è un Pascoli convincente, il personaggio è recitato con i giusti toni dimessi e l’attore si presenta al pubblico con la sua prima interpretazione di grande spessore. Benedetta Porcaroli è brava in ogni ruolo che interpreta, qui rende giustizia alla complessità di un personaggio come quello di Maria, straordinaria nella sequenza finale recitata alla finestra della casa di campagna, alternandosi con la bravissima Liliana Bottone, un’insoddisfatta Ida che non sopporta la vita famigliare con il fratello. Ci sono anche Margherita Buy nei panni di Emma Corcos che recita con la solita professionalità drammatica e Riccardo Scamarcio che impersona Cacciaguerra, sospetto omicida di Ruggero Pascoli. Fausto Paravidino e Davide Lorino sono bravi a caratterizzare D’Annunzio e Carducci, due poeti che hanno attraversato la vita di Giovanni Pascoli. Tutti i personaggi del film sono presi dalla realtà, a parte i due studenti universitari bolognesi che partecipano al funerale del loro professore, che servono al regista per inserire una storia d’amore giovanile come trama marginale. Film girato tra Barga, Montalcino, San Quirico d’Orcia, Roma e Firenze; presentato alle Giornate degli Autori (31 agosto 2025) durante la Mostra del Cinema di Venezia, distribuito nelle sale cinematografiche a

partire dal 2 ottobre 2025. A breve uscirà l’edizione televisiva su Rai Play nella quale il film perderà molto del suo fascino che solo il grande schermo riesce a rendere a dovere. Per fortuna visto al cinema Astra di Follonica, ciclo d’autore, una grande sala che ancora resiste nella nostra culturalmente disastrata Alta Maremma.

Regia: Giuseppe Piccioni. Soggetto: Roberta Breda. Sceneggiatura: Sandro Petraglia, con la collaborazione di Lorenzo Bagnatori ed Eleonora Bordi. Fotografia: Michele D’Attanasio. Montaggio: Esmeralda Calabria. Musiche: Michele Braga. Scenografia: Monica Vittucci. Costumi: Edoardo Russo. Trucco: Massimo Allinoro, Pamela Donati, Fruzsina Klinko. Produttori: Donatella Botti, Francesco Melzi d’Eril, Andrea Ozza, Fania Petrocchi. Produttore Esecutivo: Alexandra Rossi. Case di Produzione: MeMo Films, Rai Fiction, con il sostegno di Romagna Film Commission e il contributore del Mibact. Distribuzione (Italia): Academy Two. Lingua Originale: Italiano. Paese di Produzione: Italia, 2025. Durata: 110’. Genere: Biografico. Interpreti: Federico Cesari (Giovanni Pascoli), Benedetta Porcaroli (Mariù Pascoli), Liliana Bottone (Ida Pascoli), Fausto Paravidino (Gabriele D’Annunzio), Davide Lorino (Giosuè Carducci), Marco Trionfante (Pagliarani), Riccardo Scamarcio (Cacciaguerra), Margherita Buy (Emma Corcos), Sandra Ceccarelli (zia), Leonardo Di Pasquale (Salvatore Berti).

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